SANTI  PIETRO  E  PAOLO

Apostoli

At 12, 1-11; Sal 33; 2 Tm 4, 6-8. 17-18; Mt 16, 13-19

 

Voi chi dite che io sia?

 

I nomi di Pietro e di Paolo, dunque gli uomini che essi indicano, sono un segno tra i più grandi che Dio ci abbia dato della sua provvidenza verso l’uomo e la sua storia, per la salvezza grazie alla Chiesa. Perché dire così? Ecco, ne ricordiamo oggi con gioia almeno quattro fondate ragioni.

 

In loro Dio ha mostrato, prima di tutto, la sua ammirevole fedeltà. E’ il Dio dei padri, Abramo, Isacco, Giacobbe, che eleggendoli dal suo Popolo ha manifestato ancora una volta a tale Popolo il suo attaccamento tenero e forte. Ebrei in tutto il loro sangue e in tutta la loro fede, essi non hanno il compito di segnare rottura anche se le scelte umane drammaticamente la provocheranno. Come Gesù stesso, fioriscono nella speranza di Israele, ne evocano la memoria storica, cercano la continuità di una storia di amore divino che dovrà ad ogni modo, nel mistero dei tempi, essere ricostituita.

Pietro è figlio della Sinagoga, Paolo ancora di più. L’amore alla Legge e ai Profeti ha formato le loro personalità, essi sono cresciuti sforzandosi di “amare il Signore Dio con tutta l’anima, il cuore, la mente”: dinanzi a Gesù poi, cedendo con gioia alla sua conquista, nulla hanno rinnegato di essenziale nella loro fedeltà, anzi sono entrati con Lui in una storia ancora più salvata, secondo il sogno ebraico delle origini. Il Dio fedele è dunque quello che li ha segnati nel proprio cuore e li ha scelti, fior fiore di un Popolo sul quale il Figlio non si è vergognato di piangere lacrime di rammarico e rimpianto. E questa scelta di Dio già deve ammaestrarci, noi che siamo tanto propensi alla rinnovazione – quella religiosa compresa -  attraverso lacerazioni e conflitti che inondano di sangue tanta storia.

 

In secondo luogo Dio ha fatto rifulgere in loro, a consolazione di tutti gli uomini, la sua dolce misericordia. Sia veramente benedetto per questo!

Riflettiamo su una sola cosa: noi non abbiamo conosciuto i peccati di Giovanni, Andrea, Giacomo e tutti gli altri prescelti. Abbiamo conosciuto quello di Giuda, sì, ma egli giustamente – secondo la nostra logica – dal suo peccato è stato distrutto, e un altro ha preso il suo posto. Invece di Pietro e di Paolo abbiamo conosciuto chiaramente il peccato, la Bibbia lo ha consegnato alla Chiesa per i secoli, e senza attenuazioni: ripetuto rinnegamento nei confronti di un Maestro come Gesù; ostinata e feroce persecuzione contro i suoi primi discepoli.

Pietro e Paolo, peccatori come tutti gli uomini, hanno mostrato di esserlo con tutta evidenza, divenendo persone che un capo terreno non avrebbe più scelte, per incaricarle del suo progetto supremo. Invece Gesù lo ha fatto, con quello che può sembrare un eccesso di condiscendenza, ed è stato in realtà la dismisura del suo vincente amore.

Proprio Paolo lo avrebbe scritto poi, che dove abbonda il peccato “sovrabbonda la misericordia”, nella logica di Dio. Questo segnare di perdono i due uomini che a ragione la Chiesa guarda come le due “colonne” dell’origine è veramente un dono in più che Dio ci ha fatto, con realismo superiore a tutte le nostre attese.

Se Pietro ha rinnegato, ed è stato confermato primo papa; se Paolo aveva perseguitato, ed è stato eletto massimo apostolo; allora il cristianesimo è veramente stato pensato con divino affetto a misura d’uomo, come soltanto Dio poteva fare. Noi avremmo abbellito le cose, nascoste le colpe, eluso la verità. Pietro e Paolo incarnano invece una delle affermazioni più consolanti della Bibbia, ripetuta proprio da Pietro: “E’ agli umili che Dio dà grazia”.

 

La terza ragione di gioia per noi, a causa di Pietro e Paolo, è che in essi Dio ha composto in modo eccellente, e proprio grazie alla loro diversità, i due elementi di cui la Chiesa aveva bisogno per sussistere nella storia: saldezza nell’istituzione, mobilità nell’annuncio.     Che Pietro sia stato chiamato “Roccia” da Gesù è più che significativo: il Maestro era Via, Verità e Vita, tre costanti immutabili nel variare continuo della vicenda umana.

Egli dunque ha cercato l’uomo che fosse fondamento e lo ha costituito per i secoli. Da allora sono stati 263 dopo Pietro i successori, santi e non santi, ed il miracolo divino sta proprio nella misteriosa continuità di questo compito sovrumano. Continuare Gesù Cristo! Una vicarietà vertiginosa, a ben pensarci; e appunto insidiata da tutti gli ostacoli possibili e immaginabili in una vicenda anche umana. Ma la saldezza della verità, la garanzia del magistero, la norma della moralità sono rimaste e rimangono, realizzando la promessa di Gesù fatta a Pietro: “Su di te edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.

Paolo, a sua volta, ha impersonato in modo insuperabile ciò che la Chiesa deve poi sempre continuamente essere, per non ridursi a pura istituzione: slancio di missione fino a sempre nuovi confini del mondo, primavera intrattenibile dello Spirito.

Lo chiamiamo l’Apostolo, senza possibilità di confusioni. E ciò non soltanto per il suo dinamismo eccezionale, carico di coraggio indomabile pur nella debolezza dell’uomo; non soltanto per i suoi viaggi continui, le sue fondazioni grandiose; ma anche perché egli ha continuato a imparare la sua dottrina dalla profondità della contemplazione, nel dono dello Spirito, donandoci una volta per sempre una rivelazione su Gesù Cristo che noi non cessiamo di studiare, approfondire e a nostra volta predicare. Dio ha fatto davvero di lui l’inventore della missione che non ha confini, il mistico edificatore delle prime comunità sante.

Saldezza e mobilità, due caratteristiche della stessa Chiesa: per questo essa ricorda e celebra insieme questi suoi umili eroi dell’inizio.

 

Infine, quarta ragione di gratitudine, e di commozione profonda, Dio ha unito Pietro e Paolo nel comune destino di morire per Gesù sommamente amato. Gli anni di Roma sono stati gli ultimi per tutti e due. Prima l’uno, poi l’altro, essi hanno versato il sangue “in libagione”, secondo il dire di Paolo, e sono morti dando la stessa testimonianza data dal Maestro. Neppure questo è casuale, evidentemente!

La Chiesa può infatti guardare i due grandi santi in un solo sacrificio, e imparare da loro qual è la misura perfetta della carità verso il Signore. La domanda posta da Gesù a Pietro vicino a Cesarea di Filippo: “Voi chi dite che io sia?” ha avuto anche per loro risposta progressiva.

“Tu sei quello per cui si predica”, “Tu sei quello per cui si vive”, “Tu sei quello per cui si soffre”, “Tu sei quello per cui si muore”. Fin qui sono appunto giunti Pietro e Paolo, dopo il lungo cammino. E se qualcosa di meno definitivo li congiungesse nella nostra venerazione forse, confessiamolo, non saremmo del tutto soddisfatti. La sublimità del morire per Gesù è infatti incomparabile.

Così noi li guardiamo oggi con tutta la Chiesa, così li preghiamo chiedendo loro che ci aiutino fino al martirio, se così piacesse a Dio, a confessare che Gesù è il Signore.