Il Volto Santo e Isaia cap. 53



“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”


Il proposito di fusione con Gesù, nato in Teresa il giorno della sua prima Comunione, continua la sua marcia inarrestabile con la massima intensità, fin quasi alla identificazione con Lui,

Santa Teresa scrive il Credo con il suo sangue, nel suo Vangelo.

nella prova finale della tentazione della fede. Dopo aver conosciuto tribolazioni e prove di ogni sorta, Teresa, all’età di 23 anni, è nel pieno della sua maturità spirituale. Entriamo ora, nel tessuto della sua anima. “Mai mi ero sentita così forte” scrive, “ e questa forza si conservò fino alla Pasqua” (1896). Il 3 aprile, Venerdì santo, “sente come un fiotto
che sale…ribollire fino alle sue labbra”
; vomita sangue. E’ la prima emottisi, segno irreversibile che la tubercolosi avanza. Teresa non ha alcuna paura. “La mia anima fu ripiena di una grande consolazione”…”era come un dolce e lontano mormorio che annunciava l’arrivo dello Sposo” (Ms C 5 r°). Segue con gioia la liturgia del Venerdì santo. Improvvisamente, dopo i “giorni gioiosi del tempo di Pasqua”, Teresa, precipita nella notte brutalmente.

Nella Pasqua 1896, suona l’ora dell’oscurità interiore. “…Io godevo allora di una fede così viva, così chiara che il pensiero del Cielo faceva tutta la mia felicità”, ma ecco che “la sua anima è invasa dalle tenebre più fitte”(Ms C 5 v°). Sente “che vi sono veramente anime che non hanno la fede”.( Ibid.) Il pensiero del Cielo, che le era così dolce, diviene un “soggetto di combattimento e di tormento” (ibid.). Questa prova non doveva durare qualche giorno, tanto che le tenebre l’accompagneranno fino alla fine della sua vita. Teresa tenterà di descrivere l’esperienza per capire e fare capire “l’oscurità di questo tunnel”, ma poi dirà che “questa prova dell’anima è impossibile da riferire”.


Il dolce pensiero del Cielo lascia il posto alle tenebre più fitte. D’altra parte dirà poi che una “grande pace e una gioia inalterabile” resteranno nel fondo della sua anima, caratterizzata dal desiderio di non restare inattiva in Cielo. Dalla sua testimonianza possiamo trarre questa affermazione: lei dubita dell’esistenza del Cielo, ma mai dell’esistenza di Dio e del suo Amore. Teresa è invasa dal dramma di tante anime che non hanno fede, entra in un ruolo di solidarietà espiatrice con i peccatori cioè coloro che perdono la fede o che deviano da essa. E’ solidale con le anime senza fede, si sente in comunione con “i peccatori suoi fratelli, mangiando con loro il pane del dolore”… “a questa tavola piena di amarezza”.

“Mio Dio, con l’aiuto della vostra grazia sono pronta a versare tutto il mio sangue per affermare la mia fede!”.

Nella notte interiore che Teresa attraversa, non cessa mai di invocare Gesù, di andare a Lui e di abbandonarsi alla sua volontà; lotta con fede, con le armi della fede, cosciente di ricevere la sua prova dalle mani di Dio, gestendola con perfetta carità “verso i suoi fratelli, i poveri peccatori”. Soffre e patisce la loro desolazione spirituale e la loro lontananza da Dio, ma senza aderirvi un solo istante. La “gioia e la pace” abitano nell’animo di Teresa: “…malgrado questa prova che mi toglie ogni godimento, posso tuttavia gridare: “Signore, mi colmate di gioia per tutto quello che fate”. Perché c’è forse una gioia più grande di quella di soffrire per amor vostro?”( Ms C 7 r°). Nonostante che dalla Pasqua 1896, la sua fede non sia più un velo che lasci trasparire la luce del Cielo, ma “un muro che s’innalza fino al Cielo e copre il firmamento stellato”, Teresa grida a Gesù che “è felice di non gioire di questo bel Cielo sulla terra affinchè Egli lo apra per l’eternità ai poveri peccatori”. (Ms C 7 r°)

Ultima cella abitata da Santa Teresa.

“Teresa della notte” diviene sorella dei peccatori e degli empi, compagna delle loro angosce, tuttavia non condivide con essi la negazione di Dio e la rivolta contro di Lui. Paradossalmente si può affermare che in “Teresa delle tenebre” abita “Teresa della luce”. Ormai Gesù dimora in lei, a Lui si è unita indefettibilmente, Egli lotta in lei e con lei nelle tenebre. La sua fede non è distrutta ma virilizzata, radicalmente interrogata per la sua vicinanza mistica con i senza fede. La prova di fede dei diciotto mesi è essenzialmente una notte vissuta in unione con Gesù nella sua passione, talmente nascosta nel Volto Santo di Gesù, che nessuno si accorgerà della sua grande sofferenza interiore.

Come Gesù sulla Croce può dire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Ma come ben sappiamo, il Padre solo apparentemente ha abbandonato Gesù, tuttavia Gesù mai ha abbandonato il Padre, con il quale proprio sulla Croce avrà parole di completo abbandono fiducioso nelle sue mani; così per Teresa. Se Gesù per ben diciotto mesi amerà nascondersi o apparentemente abbandonarla a se stessa, lei invece neppure per un solo attimo sospenderà il suo colloquio interiore con Lui. La nostra mistica, giunge così alla conformazione della sua anima con quella di Gesù redentore nel mistero della sua Pasqua.

Gesù ha permesso che la “sua anima fosse invasa dalle tenebre più fitte”, scrive, in vista di completare il suo itinerario mistico e di continuare in lei e per lei, l’opera redentrice della Croce. E’ meraviglioso come Teresa, nell’apice della sua prova, quando piomba nelle oscurità più dense, non cessi di vedere Dio, di discernere e benedire la sua azione nella notte dell’Assenza.


Mai metterà in discussione l’esistenza di Dio e la verità del suo Amore misericordioso. Al contrario, lei lo prega con un ardore missionario decuplicato; ella invoca sui peccatori, la grazia della “fiaccola luminosa della fede”. Come Gesù, vive la notte del peccato nel Getsemani; sperimenta il fuoco dell’Amore consumante al quale si è offerta, vive a contatto con la sacra fiamma l’oscurità del proprio nulla.

Chiudiamo qui il breve escursus sulla prova della fede; era doveroso riferirla sia pure in maniera alquanto succinta. Ora in Teresa resta una sola tensione, un unico desiderio che l’anima e la guida nell’opacità della notte: “amare fino a morire d’amore”, morire nell’amore stesso di Dio al quale si è donata e che non cessa di invocare, felice di “essere scelta come olocausto” fino ad “essere attirata nelle sue fiamme”.




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