Non altro che a pronunziarla, questa parola “fiducia” slarga i polmoni e dà le ali al cuore; fa l’effetto di una liberazione, dà un sollievo senza misura, é qualcosa come un uscir dall’incubo, e rassomiglia a un principio misterioso ma certo di paradiso.

L’età nostra é per eccellenza l’età dell’angoscia, e nella storia non resterà con altro nome; come si dice di quei che vissero nell’età di mezzo, o nel secolo dei lumi, di noi si dirà che siamo vissuti nell’età dell’angoscia.

Niente di meglio, dunque, che la fiducia, naturale contrapposto di quanto ci affanna, restringendo e oscurando, innanzi a noi, lo spazio di luce necessario agli occhi nostri.

Dir poi fiducia, facendo nello stesso tempo il nome della Madonna, significa propriamente uno sterminio di contentezza, un colmo di gioia, un abisso di felicità, una voragine di luce. Significa un voler dar fondo all’universo della natura e della grazia.

Nessun dubbio che la fiducia non sia nella sua essenza una cosa lieta, e che la Madonna non sia la radice della nostra letizia.

La radice sta nella terra, il fiore si leva nell’aria: la Madonna é stata come noi, cosa della terra; ma quale fiore si é levato da lei, e in che aria si é levato!

Se Gesù é il fiore della nostra letizia, Maria é lo stelo di questo fiore. Respiriamo a pieni polmoni questa aria dell’altezza, tersa, cristallina, vivificante, che é la fiducia e nasce dal sorriso di Maria; sentiamola però come aria alta. La fiducia non é, quale a prima vista parrebbe, noncuranza. Non é gettarsi dietro le spalle ogni pensiero, scusandoci col dire che “nutriamo fiducia”. Nemmeno é un adagiarsi, supinamente e indifferentemente su ciò che porta la nostra terrestrità, come fa un torrente che scende a valle: peccato? peccato; preghiera? preghiera; debolezza? debolezza, e così via.

Non fiducia, far così, ma un fatalismo inerte, un abbandono iniquo, una maschera dell’inettezza, un equivalente della diserzione. Amare non ha mai voluto dire starsene colle mani alla cintola. Credere non é stato mai sinonimo, fuorché per i faziosi e per gli sciocchi; di rinunzia alla luce, alla ragione, all’intelligenza.

Le cose stanno altrimenti, e per dire come stanno, l’amore é una battaglia, e la fede é una guerra di conquista: battaglia sempre in corso, sempre dubbia, guerra senza tregua, di una pericolosità sempre imminente e spesso suprema. Chi ci ha insegnato a militare nei ranghi di Dio, col cuore dei conigli e con quest’aria di poltroni?

E’ vero, dobbiamo essere pronti a dare la vita, senza una perplessità, senza un lamento; ma dare la vita così, con la sovrana intrepidezza di Gesù, che per chi lo crocifiggeva al diede, e la diede al padre che lo abbandonava, non é qualcosa di passivo, ma é tutto al contrario l’apice e il vertice dell’azione e dell’attività. Morire martiri é l’atto vitale più pieno della vita.

Soltanto per via di simili discorsi, ci si può avvicinare a un concetto giusto di fiducia.

La quale non é lasciar  andare, un dare le dimissioni, un disertare il posto, uno “squagliarsela”, un rimettersi (come si suol dire) alla divina Provvidenza senz’altro voler fare né patire.

Se questo fosse, sarebbe una fuga obbrobriosa, una rinunzia, un tradimento. Ci verrebbe consigliata dalla pusillanimità di fronte al dolore, e sarebbe un sinonimo di vigliaccheria di fronte alle responsabilità precise, che sorgono dalla nostra condizione di uomini e di cristiani, di questi uomini e questi cristiani, in queste e non altre circostanze, di questa età, con questi obblighi, con questi prossimi (il tale e il talaltro, eccetera), con queste forze, con questi soldi e non più, e così via.

La fiducia non si esprime con altra parola da quella pronunziata da Cristo sulla croce: “Padre, rimetto il mio spirito nelle tue mani”. E’ la parola, che esprime alla perfezione ciò che é la fiducia, ed é preceduta dall’altra:  “Tutto é fatto, tutto é finito”.

La fiducia é lo sguardo levato al cielo, per dire al Padre che, quando noi abbiamo fatto tutto, nulla é ancora stato fatto, faccia dunque lui. La fiducia é l’offerta ultima dell’olocausto compiuto: bruciati che ci siamo senza relitti e senza cenere nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo, allora ricorriamo al fuoco e alla luce di Dio che solo contano.

Fiducia é quella fiamma lieve e alta che si leva dal fuoco che le legna del sacrificio alimentano: amore é la fiamma che li leva, amore é la bracia che consuma.

La fiducia é l’inno dell’immolazione avvenuta e della intatta aspettazione da Dio. Nulla da noi aspettiamo, e pure ci consumiamo sino all’ultimo fiato, sino all’ultima forza; tutta la somma l’attendiamo da Dio, ma nulla lasciamo di non speso in noi.

Non solo, ma da Dio attendiamo tutto, non già secondo il voler nostro, bensì secondo il voler suo. Gli diciamo le cose nostre, gliele diciamo così come noi le vediamo; quando gliele diciamo così come noi le vediamo, quando gliele abbiamo ben dette,  le bruciamo tutte, queste povere cose nostre, in favore delle cose sue e di come lui le vede.

Simile “bruciamento”, che trasforma la volontà nostra imbelle, cieca, zoppa e storta, nella folgorante e onnipotente volontà di Dio, si chiama “la fiducia”: trasmutazione del cuor nostro umano nel Cuore del figlio di Dio e figlio  di Maria. In tanto la Madonna si può e si deve dire Madre della fiducia, in quanto sulle sue ginocchia noi impariamo ad essere fratelli  del  suo figliuolo divino, cioè figli anche noi dl Padre che è nei cieli.

Questa educazione concreta, reale, divina, c’impartisce Maria, facendo di noi suoi figli altrettanti figli di Dio.

Don GIUSEPPE DE LUCA