IV DOMENICA  DI  PASQUA

At 13, 14. 43-52; Sal 99; Ap 7, 9. 14b-17; Gv 10, 27-30

Seguire Gesù buon pastore

La prima parola di commento di questo Vangelo non può essere che un grandioso: “Grazie, Signore! Grazie perché sei quello che sei, grazie perché hai voluto diventare il nostro Pastore”.

In questo tempo di ampi orizzonti, anche religiosi, di grandi confronti tra le diverse confessioni, tanto più emerge alla nostra consapevolezza, e ci conforta, la figura del Signore Gesù come di Colui che sa guidarci alla patria.. Fratelli di tutti, perché tutti guardiamo Dio, noi, però, possiamo appartenere al Padre per mezzo di Gesù Cristo. E’ questa una grazia di  valore inestimabile e, se oggi riflettiamo su questa Parola, è per riconfermarci nell’essere quelli che siamo: “Tu, Signore Gesù, dici che siamo il tuo gregge, e noi ti rispondiamo che vogliamo esserlo”.

Questo è peraltro un Vangelo che, nella sua estrema semplicità espressiva, va profondamente capito.

Una premessa: dobbiamo domandarci se noi siamo oggi il tipo di ascoltatori adatto a questo genere di discorso, visto che viene proposta un’immagine non consueta e non sempre simpatica: “Il gregge”. Siamo il gregge di Dio, e ne siamo ben fieri, tuttavia questa realtà  può sembrare attualmente passiva e dequalificante. Allora occorre superare un equivoco: essere uomini e donne liberi non vuole per nulla dire che non abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi in modo giusto. Noi siamo figli di una storia recente dove non la libertà, ma un’amplissima schiavitù è stata inaugurata, mai così potente, mai così ben organizzata, e mai così micidiale.

1934, Monaco di Baviera, in una piccola scuola elementare la maestra detta alla scolaresca un confronto tra Gesù Cristo e Hitler; il testo proposto finisce con questa frase: “Gesù Cristo ha lavorato per il paradiso, Hitler lavora per la terra tedesca”. E’ un episodio; ma, pur cambiando bandiere, distintivi, ideologie, il punto rimane quello: la terra edificata da chi non è Dio. Questo è costato e sta costando la dignità, la libertà, la vita di innumerevoli vittime.

Attenti allora a sostenere che siamo uomini e donne liberi. Lo siamo, ma in che cosa? Liberi di compiere piccole scelte, ma basta andare un poco oltre ed ecco che la libertà scompare. A proposito delle grandi dittature, gli storici affermano che esse si sono imposte su uomini che aspettavano soltanto una parola d’ordine, disposti a essere resi schiavi. Non illudiamoci di essere tanto diversi da loro. Al giorno d’oggi non occorre neppure che sia un capo carismatico a gridarci una parola d’ordine, spesso per noi essa è costituita da un breve spot televisivo: vedi, ti piace, parti, compri, libero e schiavo.

Abbiamo tutti grande bisogno che Gesù dunque ci dica: “Venite dietro a me!”. Non ci vergogniamo affatto di essere gregge di Cristo, il quale è Dio, è una cosa sola con il Padre, anzi ci rinfranchiamo in questa sequela

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La seconda Lettura, che meriterebbe una meditazione contemplativa, presenta la meta: una moltitudine immensa, incalcolabile, sta attorno a Dio; lo guarda, lo gode, lo osanna, lo serve, lo ama in una suprema libertà finale. Gesù Cristo ci ha aperto e donato il paradiso, stiamo camminando verso questa patria se siamo fedeli a Lui,  non lo possiamo dimenticare!

Decidiamo, dunque, di non lasciarci guidare da qualunque ombra, di non vivere senza meta, senza patria, e quindi senza futuro. La nostra storia sembra chiusa, abbiamo così scarse prospettive. Quando parliamo del futuro, spesso ci riferiamo semplicemente all’ambito economico: “Potremo avere domani un po’ più di oggi? E allora che cosa compreremo, che cosa faremo?”. Ma il termine futuro ha un altro significato! E’ quando pensiamo, per noi e per gli altri, il meglio che non c’è ancora, il bene che dorme e che nessuno fa.

Gandhi è stato il futuro per l’India, così come Teresa di Calcutta. Noi troppo spesso  siamo paralizzati in un presente squallido e, per vivere la condizione descritta nell’Apocalisse: “Non avranno più fame, non avranno più sete…”, dobbiamo immaginare il paradiso. Eppure da quanto tempo gli esperti di statistica presentano cifre e percentuali terribili sulla gente che ha fame e sete, anzi, ne muore, senza che noi ce ne curiamo? Siamo una storia senza futuro, perché continuiamo a badare solo a noi, a quel piccolo ‘futuro’, che è  la proiezione del nostro profitto di oggi.

Soltanto Gesù ci promette il futuro autentico, perché vi mette dentro ciò che caratterizzò la vita di Madre Teresa e del Mahatma Gandhi: la potenza della benevolenza e dell’amore.

Finché non ti curi degli altri più di quanto tu faccia oggi, dunque tu sei una statua: anche se mobiliti il mondo, sei statua di pietra. Se, invece, cresci nella benevolenza e nell’amore, fosse anche oggi a casa, trattando meglio i tuoi familiari, tu hai fatto qualcosa di meglio che non c’era ancora, hai costruito un po’ di storia degna di questo nome.

Gesù Cristo ha insegnato proprio questo. Non ha solo detto: “C’è il Regno, quel luogo stupendo di luce, di gioia, dove c’è la patria”, ma – e questa è la cosa decisiva per noi -: “ Io vi conduco perché vi amo, e vi ho amato al punto da farmi ponte tra voi e quella patria, un ponte crocifisso, se no passare non potevate”.

Questa rimane la proposta di Gesù Cristo e, se non passi per quel ponte di amore sacrificato, è soltanto perché tu, a tua volta, non ami abbastanza. Ma la strada c’è, la persona che, grazie a te, domani potrà avere un futuro più bello, è vicina a te, e chi ti impedisce di amare di più? Nessuno. “Amatevi come io vi ho amati”: non è questo il messaggio che Gesù continuamente ti sussurra o ti grida dal Vangelo? “Non amate voi stessi, non accumulate tesori che i ladri rubano e le tignole rodono, costruitevi tesori per il Regno, procuratevi amici nella vita eterna, agite in modo che vi riconoscano come miei discepoli perché amate”. Discorso che non ha senso per quelli del: “Chissà se domani guadagnerò più di oggi?”, ma, proprio perché assurdo per gli stolti,  invece, pieno del senso di Dio.

Tutti noi stiamo camminando verso la felicità eterna: qui sulla terra avremo qualche gioia, e tante mancanze di gioia – il dramma della vita è quello che è -, ma noi sappiamo dove stiamo andando, perché seguiamo attentamente le orme del Signore.

Si tratta di una sequela molto concreta. Gesù parlava a gente che era abituata a vedere il pastore, che guidava il gregge e si rivolgeva alle pecore con un gergo speciale. Molto realistico, Gesù. Ancora oggi Egli continua a parlare a ciascuno con il linguaggio adatto. Non parla a voi come a me, non parla a un uomo come a una donna, a un giovane come a un vecchio, a uno sposato come a uno non sposato. E ogni giorno  cambia parola, perché sa che cambiamo stati d’animo anche noi, spesso molte volte in una giornata: “Io mi rivolgo a te con una parola che non ho ancora detto a nessuno, la invento per te adesso, perché amo te adesso: mi vuoi ascoltare?”.

Che ottimo esercizio pratico! Partendo dalla nostra coscienza, ci obbligherà qualche volta, per udirla, a turarci le orecchie sopraffatte dal chiasso, ma siamo ancora capaci di farlo: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”.

Il Pastore parla sempre. Che il Signore ci risparmi il dolore grande di vederlo andare innanzi, ma come uno che si allontana, perché nel frattempo noi ci siamo fermati. Se accadesse, dovremmo agire come il bambino che si è fermato mentre la mamma è andata un po’ avanti: subito parte di corsa e la raggiunge, spaventato dalla distanza. O lo segui, Gesù, o lo raggiungi di nuovo, perché lo avevi lasciato andare oltre: è il Pastore!

Noi chiediamo che tutto il popolo di Dio riconosca di nuovo che Gesù è il Pastore, a tutti i livelli, poi lo chiediamo per l’umanità intera. E ci offriremo in quest’Eucaristia come un popolo che è beato e felice di essere il gregge del Signore, e vuole ascoltarlo ogni volta che gli  parla nel cuore.

Don Giuseppe Pollano